Novembre 14, 2024
roma-inter-pagelle

Roma 0-1 Inter (60’ Lautaro Martinez)

Di seguito le pagelle della partita. Come sempre, iniziamo dall’analisi della squadra vincitrice per apprendere i segreti del successo, commentando in seguito le prestazioni individuali della formazione sconfitta.

INTER

Sommer 5,5 – Rischia la figuraccia quando buca una presa normale sul banale cross di Pellegrini: per sua fortuna, la palla sbatte sul palo e tutto fila liscio. Si riprende con un paio di buone letture su Dovbyk e soprattutto con tre parate efficaci: non si limita a respingere le conclusioni avversarie, ma devia la traiettoria della sfera affinché gli attaccanti più vicini non possano arrivare.

Pavard 6 – Si limita all’ordinario, uno come lui potrebbe fare molto di più. Si distingue nel finale, interrompendo il forcing offensivo della Roma con un anticipo che spezza il fraseggio giallorosso.

Acerbi 7 – Gioca per 20 minuti e mette in luce tutte le sue qualità: marca a uomo Dovbyk a tutto campo, non gli concede più di un metro. Anticipa per tre volte l’ucraino: nell’unica ulteriore circostanza in cui il duello è individuale con la palla vicina, concede all’avversario un illusorio colpo di testa in anticipo sapendo che sulla seconda palla è ben piazzato Pavard. In fase di possesso si muove intelligentemente, andando a fare il mediano nel 4-3-3 asimmetrico disegnato da Inzaghi e allontanando Dovbyk dalla pressione sui nerazzurri che hanno una maggiore padronanza nel palleggio. È un difensore da finale di Champions League. Se avesse 28 anni, varrebbe 100 milioni e sarebbe un pilastro della Nazionale. È invece molto avanti con l’età, ma se non viene eccessivamente spremuto sul piano fisico, le 2-3 partite più importanti del Mondiale 2026 con la maglia azzurra può tranquillamente giocarle.
(dal 27’ De Vrij 6,5 – Ha un profilo di gioco totalmente diverso da Acerbi: mentre l’ex laziale cerca sempre di anticipare Dovbyk, l’olandese non va mai a cercare l’anticipo ma si occupa più che altro delle letture di gioco. In aggiunta, per quel che riguarda la fase di possesso, De Vrij è di piede destro e decisamente più dotato tecnicamente rispetto al mancino Acerbi. Il subentrato mantiene comunque il contatto “uomo contro uomo” a tutto campo con l’attaccante della Roma, ma gli lascia una maggiore iniziativa. Tiene botta nel finale: prestazione abbondantemente sufficiente).

Bastoni 6,5 – Appartiene alla categoria dei difensori moderni che (paradosso) rendono meglio nella metà campo avversaria che nella propria. In genere il difensore deve impedire che gli altri giochino a calcio: se è lui a voler giocare a calcio da protagonista, può benissimo cambiare ruolo e andare altrove. In sostanza, Bastoni (e alcuni suoi colleghi, come Calafiori) sarebbe buono come mezzala o come terzino, ma gioca difensore centrale: è un rischio questo, perché pur rappresentando un faro nella fase d’impostazione, ha evidenti limiti in marcatura. All’Olimpico viene rispettata tale previsione. Di certo è gradevole assistere alla sua gestione del pallone: nel primo tempo salta Dybala e al limite dell’area avversaria, tocca molto bene in profondità per Dimarco. Senza palla, si propone molto spesso da mezzala aggiunta: e una volta occupata tale posizione, fa a sua volta la mezzala di inserimento verso l’area romanista, andando a fare la punta. Il fisico glielo permette: fa questa giocata (alla Milinkovic-Savic, alla Vecino) che non ti aspetti da un calciatore sulla cui confezione c’è scritto “difensore centrale”. In difficoltà nelle retrovie: è un po’ lento e molle. Nella ripresa cala vistosamente dal punto di vista fisico: Inzaghi se ne accorge, e lo rimuove.
(dal 71’ Bisseck 6 – Fa il suo, senza infamia né lode. Si complica la vita in una circostanza, ma se la cava delegando a Sommer il compito di spazzare per risolvere il problema).

Darmian 7 – È un piacere vederlo giocare. Fin dal riscaldamento è carichissimo: nel torello recupera un paio di palloni dati già per persi e salta Lautaro Martinez in dribbling facendogli un tunnel. In partita, limita Zalewski nel migliore dei modi: non si vede e non si sente, ma le palle avversarie che non devono passare, non le fa passare. Punto. È la mentalità di chi può fare il titolare nel Real Madrid o nel Bayern Monaco. Anche per lui vale il discorso dell’età, già fatto con Acerbi: la speranza è averlo ancora in forma per il Mondiale in America. Ricorda molto Azpilicueta come stile di gioco: tosto, intelligente e molto sottovalutato dagli addetti ai lavori. Nell’unica occasione in cui Zalewski lo passa (e sta per involarsi verso l’area di rigore interista), spende il giallo per evitare che l’azione continui. Nell’economia delle 38 partite, sullo 0-1 da difendere all’Olimpico contro la Roma, è un’ammonizione spesa benissimo.
(dal 71’ Dumfries 6,5 – Entra con il piglio giusto: divora la fascia destra con una falcata pungente, sfiora la rete personale in due occasioni e regge bene in difesa).

Barella 4,5 – Prestazione veramente brutta. Non emerge fisicamente nonostante il contesto fosse ampiamente alla sua portata. Gioca i primi minuti da mezzala, poi passa nella innaturale posizione di regista davanti alla difesa. Non illumina l’azione, in fase di contenimento si limita al compitino. Non gioca una partita di spessore: tutt’altro. Vanifica un capovolgimento di fronte potenzialmente letale dell’Inter, con la sua squadra che era uscita bene dal basso, nel primo tempo: ha una prateria davanti a sé, si fa rimontare dagli avversari toccando troppe volte la palla prima di smistarla (suo difetto storico). Nella ripresa, in una circostanza, si trova in buona posizione sulla destra, ma il suo cross è il peggiore possibile: non solo perché è lento e prevedibile, ma anche perché in area i compagni sono piazzati veramente bene e questo brutto gesto tecnico interrompe, proprio a livello di fasi di gara, un buon momento per l’Inter, che nei minuti successivi soffre. Sempre nel secondo tempo, perde un pallone sanguinoso nella zona di campo dove è sconsigliato regalare palla agli avversari, ovvero al limite dell’area rivale, con tutti i propri compagni sbilanciati: fa una giocata d’esterno molto leziosa, la Roma riparte con un “tre contro due” che Zalewski getta alle ortiche. Nel finale, quando manca poco alla fine del recupero, non gestisce il solo gol di vantaggio continuando nel palleggio, ma cerca una improbabile verticalizzazione per Mkhitaryan che termina comoda tra le braccia del portiere Svilar, con i giallorossi che hanno il tempo per regalarsi due occasioni prima del triplice fischio. Sono quattro errori da matita blu che un tassello titolare in Roma-Inter non può assolutamente compiere.

Calhanoglu s.v. – Si fa male cercando di addomesticare un pallone difficile, che gli viene consegnato troppo all’indietro: movimento fatale per la salute del flessore della coscia destra. Il minutaggio del turco all’Olimpico dura soltanto 11 giri di lancette.
(dall’11’ Frattesi 7 – Entra con grande ritmo e dinamismo. Tanti gli aspetti da sottovalutare. Innanzitutto si presenta in campo e, senza un grande riscaldamento alle spalle, si propone subito in profondità con uno strappo in verticale che brucia gli avversari: Thuram non gliela passa, l’ex Sassuolo sarebbe stato a tu per tu con il portiere. Tiene botta in maniera perfetta in fase difensiva su Zalewski e Angeliño, aiutando Darmian e comportandosi da perfetto terzino destro. Magari a cinque no, ma in un 3-4-2-1 potrebbe fare l’esterno a tutta fascia. Indubbiamente, nel 5-3-2 che Inzaghi ha predisposto in fase difensiva per Roma-Inter, Frattesi deve fare la mezzala. C’è da lavorare sulla continuità nei novanta minuti: si spegne nel primo quarto d’ora della ripresa, salvo poi accendersi proprio in occasione della ripartenza che genera il gol interista (recupera palla su Zalewski con cattiveria, poi non mostra la stessa ferocia nell’aggredire la fascia destra palla al piede, ma piazza comunque un buon passaggio al centro e ne consegue un rimpallo che porta al gol di Lautaro, valevole per il definitivo 1-0). Nel finale prende fiducia, concedendosi aperture con l’esterno e colpi di testa intelligenti volti a premiare il posizionamento di Thuram in avanti. È in un buon momento della sua carriera. Accompagna velocità e intraprendenza con una crescente diligenza in fase difensiva).

Mkhitaryan 6+ – Inizia molto bene, avviando un contropiede nerazzurro e colpendo la traversa con una botta ben calibrata dalla distanza (non era facile, siccome il pallone rimbalzava in maniera insidiosa). Con il passare dei minuti si spegne, fino a boccheggiare vistosamente nella fase finale di gara. È un ottimo intenditore di calcio, anche se gli anni passano. Zielinski è un ricambio ideale ma attualmente è infortunato: motivo principale per cui all’armeno è chiesto uno sforzo eccessivo all’Olimpico, davanti alla sua ex squadra. Al triplice fischio, si accascia per terra: è in evidente difficoltà fisica. In prospettiva futura, un erede perfetto di Mkhitaryan in nerazzurro sarebbe Trossard dell’Arsenal: rappresenterebbe una continuità sul piano tecnico, fisico e tattico.

Dimarco 5,5 – Potrebbe fare molto di più, soprattutto davanti a un rivale così indeciso come Celik. Sbaglia tantissimo su calcio piazzato, mostrando poca lucidità: il piede educato è la sua caratteristica principale, sul prato dell’Olimpico non brilla in tal senso. Non eccelle per quanto concerne la visione di gioco. In genere ha 60 minuti nelle gambe: stavolta il suo impiego dura fino al triplice fischio e quando l’arbitro sancisce l’epilogo della gara, il terzino nerazzurro si lascia cadere a terra stremato, per rialzarsi dopo qualche minuto. In linea generale il calciatore c’è (e contro la Roma si è visto poco), l’atleta al momento è parecchio indietro rispetto a diversi colleghi.

Lautaro 5 – Non sarà un tiretto decisivo a invertire il giudizio su una prestazione mediocre, molle, insipida del capitano nerazzurro, che sembra non esserci sia fisicamente che mentalmente. All’Olimpico contro la Roma ha le movenze di un 34 enne e non gli riescono neanche le giocate più semplici. Inzaghi gli chiede un sacrificio tattico: in fase di possesso, con Acerbi in campo, l’Inter fa un 4-3-3 asimmetrico, con Darmian altissimo da ala destra (e molto defilato), mentre Lautaro sarebbe l’ala sinistra (Thuram fa il centravanti), ma in realtà è molto stretto e schiacciato al centro del campo. Quando entra De Vrij, l’Inter si dispone con un 4-2-4: i “quinti” di centrocampo fanno gli esterni alti d’attacco e le due punte sono Thuram e Lautaro, con quest’ultimo che è incaricato di venire basso per ricevere palla. Molto spesso, in queste circostanze, Ndicka e Mancini riescono a sradicargli il pallone dai piedi. Al di là del sacrificio che il suo allenatore gli chiede, è veramente spento e appesantito. Sarebbe stato un 4 pieno, per sua fortuna porta a casa i tre punti con gol decisivo. Gli capita una palla che deve essere spedita in porta e lui segna. Si prende la gloria nel breve periodo, ma non pensi di essere l’eroe del momento: c’è tanto, tantissimo da lavorare in questa fase della sua stagione che continua a essere difficile sotto molteplici punti di vista.
(dal 71’ Correa 5,5 – Entra e passeggia. Non fa il suo ingresso sul prato dell’Olimpico con la cattiveria necessaria).

Thuram 6+ – Discorso molto simile a quello fatto per Mkhitaryan: nel primo scampolo di gara è tra i migliori, poi si spegne pian piano e nel finale è davvero irriconoscibile, per via di una condizione fisica altamente precaria. Non è un caso se, al pari di Dimarco e dello stesso armeno, il francese si sdraia sul terreno di gioco al momento del triplice fischio, senza manifestare alcuna voglia di rialzarsi. Gli ultimi 20 minuti sono davvero imbarazzanti: non tiene un pallone, eppure dovrebbe farlo perché l’Inter si schiaccia con una sorta di 5-4-1 nel quale gli esterni “alti” (il baricentro è in realtà molto arretrato) sono Frattesi da una parte e Correa dall’altra. Nella fase di gioco in cui eccelle, dimostra un’ottima capacità di anticipare l’avversario: basandosi sulla sua velocità e tecnica, riesce a fare – a tratti – reparto da solo, pur fronteggiando un difensore particolarmente in fiducia come Ndicka. Grave il fatto di non aver premiato l’inserimento di Frattesi al 12′, vanificando una buona azione offensiva. Insomma: rivedibile in tanti aspetti, ma è un giocatore di sostanza e si vede.

Inzaghi 5,5 – Non è condivisibile il modo in cui l’Inter è scesa in campo: troppo spenta e prevedibile. Passa in vantaggio per un episodio, a mezz’ora dalla fine, e decide di cullarsi sugli allori del solo gol di scarto. In confronto a quanto ci si aspettava sulla carta, l’Inter all’Olimpico è stata poco propositiva e le poche occasioni che ha avuto, non le ha sfruttate con cinismo (eccezion fatta per la rete siglata da Lautaro). Hanno deluso diversi singoli, ma la generale sensazione di “risparmio energetico” è da contestare all’allenatore. Da sottolineare che è stato ammonito per proteste nei confronti dell’arbitro. Persiste un problema in mediana: con Asllani già infortunato, all’11’ contro la Roma ha alzato bandiera bianca Calhanoglu. Inzaghi si è arrangiato con Barella. Nel 2022 la sua Inter ha perso lo Scudetto principalmente perché era infortunato il mediano Brozovic e Inzaghi non riusciva a trovargli un sostituto: ha trasformato Calhanoglu in autentico regista solo nella stagione successiva, a partire da Inter-Barcellona, avviando una lunga cavalcata verso la finale di Champions, con Brozovic che è tornato a Istanbul contro il City. La sua speranza è recuperare il prima possibile un mediano di ruolo, altrimenti dovrà trovare un’alternativa valida al più presto.

ROMA

Svilar 7 – Tra i pali è molto sicuro. In una circostanza fa anche da libero aggiunto, sventando una minaccia nerazzurra. Il tiro di Lautaro è troppo preciso e potente per far sì che l’estremo difensore giallorosso si possa opporre. Bravo a chiudere la porta a Dumfries nella fase finale di gioco.

Mancini 5 – Prova insufficiente. Da braccetto destro non offre nessuna soluzione in fase offensiva: nelle poche occasioni in cui si propone in attacco, sbaglia cross facili e perde palloni in zone di campo pericolose. In alcune circostanze riesce a sbarrare la strada a Lautaro (che non è in buone condizioni), per il resto non riesce a dare un senso alla sua presenza in campo. Anche a livello di linguaggio del corpo, si mostra spesso insicuro e in difficoltà.

Ndicka 6,5 – Al centro della difesa a tre, rende molto bene: bravo sia in anticipo che nelle letture, guida il reparto arretrato con precisione e costanza. Ferma Lautaro in diverse occasioni: soffre, invece, il duello fisico con Thuram, dal quale in ogni caso non esce con le ossa rotte.

Angeliño 5 – Juric ritiene Darmian un esterno a tutta fascia indegno di essere eccessivamente temuto in fase offensiva, quindi chiede ad Angeliño di fare il braccetto mancino per provare a mettere in difficoltà l’avversario nella metà campo interista. È invece il nerazzurro a creare grattacapi al romanista, rivedibile sotto ogni punto di vista contro i campioni d’Italia in carica.
(dal 79’ Hermoso 5 – Entra e buca un anticipo banale su Dumfries, in piena area di rigore, consentendo all’olandese di trovarsi a tu per tu con Svilar, che salva la Roma dallo 0-2. Rivedibile, a dir poco, lo spagnolo arrivato in Capitale da svincolato).

Celik 5 – Il suo primo pensiero, quando viene in possesso della palla, è girarsi all’indietro: mostra, pertanto, un’insicurezza clamorosa. Non gioca contro il miglior Dimarco e potrebbe spingere, tentando di evidenziare in maniera netta le difficoltà difensive del terzino nerazzurro: invece si limita al compitino, ma questa è una partita nella quale, se ti limiti al compitino, sprofondi nell’insufficienza piena.

Cristante 4 – Il peggiore in campo. L’arbitro e il Var lo graziano: meriterebbe l’espulsione, nel primo tempo, per fallo da ultimo uomo su Thuram lanciato a rete. Nella ripresa, quando riprende il gioco dopo il tocco dell’arbitro, regala il pallone a Frattesi che si invola verso Svilar per il raddoppio: Massa fischia e dice che bisogna ripetere, ma al replay è evidente come fosse tutto buono. Due leggerezze colossali. Lui in generale è un profilo “né carne, né pesce”: è bravino nel palleggio, ma in giro c’è di meglio; discorso analogo per la fase di non possesso. Ha, quindi, il pesante obbligo di giustificare di volta in volta la sua presenza sul terreno di gioco, provando a spiccare in una delle due fasi. Contro l’Inter esce ridimensionato in entrambi gli aspetti: non illumina in costruzione, lascia troppo spazio ai nerazzurri quando la sua squadra è senza palla.
(dal 79’ Le Fée senza voto – Non può essere giudicato, gioca pochi minuti e tocca pochissimi palloni).

Koné 5 – Ha talento e voglia di esprimersi, ma perde tre palloni banali e al terzo Juric lo toglie dal campo, anche per dare un segnale alla squadra. La sensazione sugli spalti dell’Olimpico è che il tanto acclamato rinforzo della Roma a centrocampo sia, per carità, un buon giocatore, ma inadatto a capitanare un’impresa contro una squadra dal livello dell’Inter. E questo è un pugno nello stomaco per la tifoseria.
(dal 53’ Pisilli 5,5 – Fa un paio di buone aperture, per il resto colleziona errori decisamente banali. Deve crescere, non poco).

Zalewski 4 – Fronteggiare in zona offensiva Darmian e Pavard sarebbe difficile per gente come Luis Diaz e Doku, quindi lo sbarbato romanista sulla carta non ha chances e infatti non vince mai un duello individuale. Quando viene raddoppiato, torna sempre all’indietro con estrema paura. A ciò va aggiunta la difficoltà di giocare a tutta fascia nel 3-4-2-1 disegnato da Juric: è in affanno sul piano fisico, tecnico, tattico e caratteriale. Si fa sfilare da Frattesi, al 15′ del secondo tempo, il pallone che pochi secondi dopo Lautaro spedisce in porta. Proprio mentre il pubblico lo fischia, riesce a passare su Darmian che lo ferma spendendo il giallo. Non ha mestiere, ma ormai alla sua età dovrebbe quantomeno far vedere qualità.
(dal 72’ Baldanzi 5,5 – Juric cambia modulo grazie al suo ingresso in campo, in seguito al quale la Roma si schiera con un evidente 4-2-3-1, anche se gli esterni d’attacco sono in realtà dei trequartisti, quindi sia Baldanzi che Pellegrini non riescono a saltare l’uomo sulla fascia, pensando invece ad accentrarsi sempre per il tiro e risultando dunque estremamente prevedibili. L’ex Empoli entra con tanta voglia di fare, ma sbaglia un paio di palloni banali. Lui, Dybala e Soulé sono i tre giocatori da cui la Roma deve ripartire: calcio frizzante, tocchi di prima e verticalizzazioni. Solo così questo ambiente così cupo può essere cambiato).

Dybala 5,5 – Il paradosso della teoria difensiva di Juric: a furia di rincorrere a tutto campo Bastoni, uno come Dybala quando torna in possesso del pallone dimentica alcuni fondamentali del gioco. La sua prestazione è la fotografia del momento giallorosso: il talento c’è, ma le sovrastrutture mentali sono tante e pesanti. Occorre meno rigidità: bisogna dare spazio alla creatività e alla leggerezza, altrimenti la Roma non uscirà da questo circolo vizioso in cui continua a mordersi la coda da sola.
(dal 79’ Soulé 5,5 – Entra con la convinzione totale di poter fare tutto da solo. Due, le azioni in cui si rende protagonista: la prima è un impensabile tentativo di iniziativa individuale che non va a buon fine; la seconda è una conclusione dalla distanza che impegna Sommer, ma tutto sommato per lo svizzero si tratta di una parata ordinaria. Il pubblico dell’Olimpico lo accoglie con scetticismo e mormora quando l’argentino si complica la vita da solo).

Pellegrini 6 – Appena prende palla, si gira verso la porta e pensa concretamente a come fare del male all’Inter. Suo il primo tiro della gara, al primo minuto: alto, ma l’iniziativa c’è. Da un suo cross banale nasce la papera di Sommer che non porta, per un pelo, al vantaggio della Roma. L’intesa con Dovbyk deve ancora decollare: due ottimi giocatori non abituati a giocare insieme, che ad alti livelli faticano ad ingranare in coppia. È molto intraprendente ma in alcune fasi della partita si spegne, per poi riaccendersi. Nel finale Juric gli chiede di fare l’ala sinistra nel 4-2-3-1: non è il suo ruolo, fa quel che può. Preciso sui calci piazzati: non, tuttavia, nella migliore situazione da fermo, quando dopo l’ammonizione di Darmian su punizione non cerca direttamente la porta, come invece avrebbe potuto e dovuto).

Dovbyk 5,5 – Acerbi lo ingabbia per 20 minuti, per sua fortuna l’interista esce e De Vrij gli lascia più spazio. Qualcosina combina: un buon colpo di testa nel primo tempo, alcuni movimenti giusti nel secondo. Inspiegabile un episodio che si manifesta nella fase finale di gara: Bisseck è in difficoltà, l’attaccante giallorosso non sta marcando nessuno e si rifiuta di andare a pressare il portiere interista. Risultato: Bisseck appoggia su Sommer, che ha tempo e modo di lanciare lungo. Qui è questione di personalità: va bene avere ottime doti tecniche, ma quest’anno c’è una sponda giallorossa della Capitale che teme di essere risucchiata in ragionamenti da settimo/ottavo posto, e va salvata da queste sabbie mobili.

Juric 5 – Ha davanti un’Inter svogliata e la sua Roma non riesce a fare neanche un gol. Quello del finale non è un vero e proprio assedio: è l’Inter che smette di giocare intorno al 70′, e una squadra seria avrebbe vinto 2-1, o quantomeno trovato il gol del pareggio. Da rivedere alcuni aspetti: a Dybala è stato chiesto di marcare a uomo Bastoni a tutto campo (pagandone le conseguenze, in termini di lucidità, quando poi veniva in possesso della sfera) e per fare un lavoro sporco del genere il tecnico si poteva rivolgere ad altri profili. Inzaghi lo prende quasi in giro nel momento in cui chiede ad Acerbi di fare il “mediano-ombra” in un fittizio 4-3-3, dando per scontato che la pedina di Juric abbocchi: in sostanza l’obiettivo è allontanare Dovbyk dalla palla e l’Inter riesce nell’intento con una strategia elementare, basata sul fatto che la fase difensiva di Juric è dogmatica e poco flessibile. Una variabile che avrebbe potuto fare la differenza è il duello aereo tra Celik e Dimarco, ma il turco è stato cercato molto poco di testa. In generale la Roma è stata sfortunata nei rimpalli, ma il problema consiste proprio nell’affidarsi ai rimpalli: con Paredes in panchina, manca un punto di riferimento davanti alla difesa nella costruzione del gioco. L’aspetto che desta maggiore preoccupazione è la sterilità offensiva: agli occhi di un allenatore avversario, la Roma non è una squadra che fa paura quando si affaccia in avanti. L’Inter si è seduta, giocando gli ultimi venti minuti con un atteggiamento ai limiti del rinunciatario (salvo i casi di Dumfries e Frattesi) sul solo gol di scarto, ed è uscita lo stesso vittoriosa dall’incontro dell’Olimpico. Questa è un’umiliazione morale: la Roma ha bisogno di ritrovare creatività e leggerezza, valorizzando il talento che in attacco non manca.

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